Per amore della democrazia

December 14 2009No Commented

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Per amore della democrazia

non arrendiamoci

C’è un’Italia che in vari modi sta reclamando una banalità rivoluzionaria: che la politica sia fatta dagli onesti e che i partiti servano prima di tutto a discernere tra chi è onesto e chi non lo è.

Il fatto che questa affermazione appaia ingenua, retorica, è segno della nostra incombente sconfitta.

Il pensiero di Anna Harendt ci viene in soccorso.

La Harendt ha aiutato tutta l’Europa a prendere coscienza di quanto il male sia banale, di quanto gli efferati nazisti fossero persone terribilmente normali, di quanto il dramma si scateni nell’assenza di idee, più che nella malvagità.

Quella stessa Harendt ci aiuta a riflettere su quest’altra banalità rivoluzionaria, sostenendo nella sua meditazione sul potere che per fare politica ci vuole un gruppo di persone che condivida prima di tutto una visione morale della vita.

Come a dire: prima si discrimina tra chi è onesto e chi no. Poi, tra coloro che sono onesti, si discrimina tra i diversi progetti politici.

Facciamoci forza e non abituiamoci a niente di diverso.

Il fatto che il Parlamento si sia nuovamente chiuso a riccio per difendere dal (!) processo il sotto segretario Cosentino, rammarica ma non stupisce. E’ segno dei tempi.

Evoca le parole di Letta, quello del PD, quando dice che tutto sommato è legittimo che Berlusconi si difenda dal (!) processo. Sono i balbettamenti e i silenzi sull’UDC di Cuffaro.

Rivendichiamo che soprattutto dentro un partito la parte risponde del tutto e viceversa.

La situazione dell’UDC certo è “una delle”, ma ha per noi un valore particolarmente simbolico e i simboli sono importanti.

L’UDC piemontese sarà credibile quando avrà dimostrato il proprio impegno a fare pulizia dentro il partito. Fino a che non si porrà nemmeno il tema della “sospensione” di Cuffaro dalla carica di vice presidente del partito, in attesa che si chiariscano le sue vicende giudiziarie, quel partito tutto è corresponsabile. Non è credibile.

Certo per giudicare l’onestà di una persona, ci vogliono consessi umani che si sentano e si avvertano legittimati a farlo. Ma noi siamo riusciti a svuotare quasi ogni fonte di “giudizio sull’onestà”. Barattando i fatti con le opinioni. Confondendo il piano personale, con quello pubblico. Confondendo il giudizio penale e quello politico. Screditando le istituzioni a cominciare dalla magistratura.

Risultato: sempre più giovani rinunciano alla partecipazione politica. Ci sono già Paesi Europei in cui vota meno del 40% degli aventi diritto. Sempre più giovani pensano di andarsene da questo Paese (ora supportati dalle illuminanti parole di Celli). E’ a questo che dobbiamo prepararci? Ad una democrazia ridotta a negoziato tra oligarchie? Coraggio! Non si vince spostando qualche residuale percentuale di consenso marcio, ma attingendo con credibilità al bacino assai più grande del “consenso sospeso”.

Davide Mattiello

 

Pubblichiamo anche la risposta che Mariano Turigliatto, consigliere regionale, ha inviato per continuare la rilfessione.

Una riflessione che è aperta a tutti coloro che amano la democrazia.

 

Caro Davide,

ho letto la tua lettera/riflessione dopo la serata di mercoledì scorso. Essa segue e precisa – ma non ce n’era bisogno – il significato delle tue parole e della durezza con cui le hai dette. Non c’è bisogno che ti dichiari che le condivido: è così, ma il tema non sta in questo. Provo a dirti come la vedo io.

Comincerei da “Avviso Pubblico”. Uno dei momenti di maggiore slancio alla costituzione dell’associazione (sai bene che parte Grugliasco abbia avuto attraverso l’assessore Marinaccio e il sottoscritto) venne dalla necessità di creare una rete di soccorso tra amministratori pubblici che avevano a cuore la difesa della legalità e la pratica di forme sempre più trasparenti di gestione della cosa pubblica: ne ragionammo a Niscemi tredici anni fa, con Massimo Calzolai ed Enza Rando, mentre presidiavamo la nuova scuola elementare che di notte veniva smontata dai malavitosi. Discutemmo soprattutto di come gli amministratori pubblici dovessero diventare il baluardo della costituzione di regole chiare, della loro applicazione adamantina, della garanzia di tutti sono davvero uguali di fronte ai presidi locali dello Stato, in primis i comuni. Togliere i tappi alla società, liberare le associazioni e i cittadini, rimuovendo quei legami culturalmente mafiosi fatti di ricattini, telefonate all’insaputa, velate minacce mascherate da consigli benevoli… tutte pratiche che anche la politica del nord adopera a piena mani. Mettere al posto di tutto questo la trasparenza e la battaglia politica a viso aperto, una volta stabiliti i requisiti minimi per esserne parte. Questo è quello che i pubblici amministratori dovrebbero fare per combattere le mafie e farsi promotori di una cultura “aperta”. Non mi sembra che sia così, o almeno sempre così: la nostra vita politica è profondamente imbevuta di politica dai costumi mafiosi, anche qui a Torino, anche all’interno della cerchia dei nostri amici. Ecco perché, quando c’è troppa distanza fra le parole e i fatti, si finisce per perdere di credibilità.

Poi c’è il problema dei diritti: troppi cittadini non riescono ad esigere diritti acquisiti e riconosciuti: la burocrazia, i tempi, il groviglio di interessi avversi, l’esistenza di nemici nell’ombra… fa lo stesso. Ma la condizione di impossibilità di esigere diritti riconosciuti apre la strada alla mafie e alla corruzione: uso le scorciatoie per ottenere quello che mi spetterebbe ma che non riesco a portare a casa. Questa condizione non si verifica solo in Sicilia, è quali normale anche qui. Penso che amministratori pubblici sensibili al tema dovrebbero “prendersi cura” di tutte le situazioni di ingiustizia, provando a risolverle. Meno convegni, mano chiacchiere sulla legalità, più lavoro pratico per avvicinare i cittadini onesti al rispetto delle regole semplicemente dimostrando che conviene.

Infine il problema delle regole. Gli amministratori debbono rispettarle, non debbono mai fare i poliziotti, tanto meno deve essere richiesto a loro di intervenire in sfere che sono prerogativa dei tecnici. Agli amministratori va però chiesto di realizzare il bene comune, segnalando le storture e intervenendo quando possono a cambiare le condizioni che determinano zone d’ombra nell’amministrazione. Anche qui è più facile farlo che spiegarlo, ma farlo comporta farsi molti nemici e diventare sgradevole e sgradito perfino ai tuoi stessi amici. Lasciamelo dire, che ne so qualcosa.

Il tema UDC e quello delle possibili forme di alleanza e collaborazione – come si sta manifestando in Sicilia – sta in questo e sta anche nel piccolo berlusconi che c’è in noi. Il cinismo è un ingrediente necessario della politica, quando non ci sono meccanismi di regolazione la politica finisce per risolversi in esercizi di cinismo, tanto più eccellenti quanto più esercitati da giovani politici, col cuore sgombro da residui ideologici e sovente allevati nel mondo delle segreterie degli assessori senza che mai abbiano provato a capire cosa vuol dire cercarsi o costruirsi un lavoro, quello vero.

La presidente ha detto mercoledì ciò che poteva dire a fronte della situazione politica in cui versa il centrosinistra del Piemonte, alle spinte e alle sollecitazioni di larghi settori del nostro mondo, all’ignobile trattamento che le è stato riservato in questi mesi. Va inquadrato in questo contesto e non lo dico solo per difendere le sue posizioni, ma anche per segnalare che abbiamo tutti un grosso problema politico, di cui sono parte anche gli altri relatori della serata e i tanti che avremmo potuto essere al loro posto.

Sai dell’isolamento che ho patito e delle difficoltà che patisco per effetto di un modo di praticare l’attività politica come abbiamo sempre detto che va fatta. Ho attraversato momenti di depressione nel considerare il trattamento che ho ricevuto sul piano personale dai miei miracolati, grugliaschesi e non, ma non ho mai perso la speranza che, colpo dopo colpo, le cose si spostano, cambiano, migliorano, evolvono.

Avere parte al cambiamento è una soddisfazione immensamente più intensa che gestire il potere per conservare il proprio. Forse abbiamo sbagliato a costruire il messaggio… o a trasmetterlo. Forse non sono maturi i tempi, forse ci va ancora qualcosa d’altro. Si deve provare e alla fine ci si riesce.

Vamos!

12/12/09

Mariano